Direzione Regionale Partito Democratico d’Abruzzo del 13 marzo 2013 – Relazione del segretario Silvio Paolucci

Logo-Pd-Abruzzo5-150x150Direzione Regionale Partito Democratico d’Abruzzo del 13 marzo 2013 – Relazione del segretario  Silvio Paolucci 

 Apriamo con questa Direzione regionale una fase di analisi riflessione discussione nel  Partito, che credo debba essere molto aperta e diffusa su tutto il territorio regionale. Dopo questa Direzione, la mia proposta è che si riuniscano anche le direzioni provinciali e che si apra un confronto sui territori. Un confronto che ritengo debba cogliere tutta la profondità e la drammaticità della situazione in cui ci troviamo, non riducendo tutto a beghe personali e rese dei conti interne.

Un confronto che deve sempre tener conto che noi siamo il primo partito del Paese per numero di parlamentari e che quindi il nostro primo dovere è indicare una prospettiva al Paese. Una prospettiva coma ha detto Bersani che parta dal presupposto che, dopo la forte domanda di rottura col passato che è provenuta dal voto, non c’è responsabilità senza cambiamento.

La Direzione nazionale del 6 marzo credo abbia dato un contributo importante. Certo ci sono nodi irrisolti sull’immediato futuro e sul problema del governo, rispetto ai quali non possiamo che affidarci al Capo dello Stato. Tuttavia, la nostra discussione nazionale ha cominciato a individuare in modo giusto quali sono le risposte da dare. A partire da un’analisi corretta e non superficiale di quella che è stata una sconfitta inaspettata del centrosinistra.

Sconfitta perché anche se siamo la prima forza per numero di voti e per parlamentari, tuttavia il risultato è stato drammaticamente al di sotto delle aspettative e non abbiamo garantito la governabilità del Paese.

Il risultato politico più evidente e’ l’affermazione del Movimento 5 Stelle. Un’organizzazione politica di massa, costituito da attivisti, simpatizzanti ed elettori. Un partito pigliatutto ovvero interclassista, rivolto a tutti, che ha superato la fase delle esperienze locali delle prime liste civiche di Grillo e che attorno alla crisi della rappresentanza, e a mio avviso e’ questo il vero punto, ha costruito il tratto identitario più dirompente. Il M5S ha richiamato l’attenzione su molti nodi critici e problemi che investono il funzionamento della nostra democrazia, dalla perdita di sovranità e potere dei cittadini alla sfiducia negli attuali sistemi di rappresentanza alle difficoltà nel creare nuove e credibili forme di partecipazione. Il Non-Statuto del M5S definisce l’obiettivo fondamentale che giustifica la formazione del Movimento: il progetto di riportare i cittadini al centro della politica, rendendoli protagonisti di tutte le scelte e le decisioni a livello locale che nazionale attraverso l’uso della rete. L’attenzione si spinge verso quelle persone che si attivano al di fuori di legami associativi, partitici e senza mediazione di organismi direttivi o rappresentativi. Nei paesi europei i partiti politici hanno svolto per molti anni una funzione centrale per la vita democratica, garantendo la trasmissione della domanda di provvedimenti politici che emergeva dai cittadini. Nella costruzione del programma il Movimento ha cercato di riprodurre questa funzione ma in un modo totalmente diverso e diretto, non mediato. Al momento della nascita il Movimento lo si definiva un soggetto politico ne’ di destra, ne’ di sinistra, un soggetto politico espressione dei cittadini, un esempio di democrazia diretta in quanto i partiti sono incrostazioni della democrazia. Una scommessa politica opposta alla nostra, che dal congresso 2009 fino alla campagna elettorale 2013 abbiamo, al contrario, investito sul ruolo dei partiti, sull’ applicazione dell’art. 49 della Costituzione, sul fatto che la Terza Repubblica sarebbe nata mettendo al centro Politica e partiti. E cosa ancora più sorprendente rispetto alle nostre analisi pre-voto e’ che il profilo degli elettori di Grillo e’ quello di elettori prevalentemente di centrosinistra e sinistra, impegnati, con livelli socio-culturali marcatamente superiori alla media che, avendo sperimentato una decisa disillusione nei confronti dei partiti politici optano per un movimento in cui la delega e’ bandita a favore della responsabilizzazione individuale senza alcuna mediazione. Viene dalla società un’orizzontalità delle relazioni e non verticalità. E ciò riguarda, partiti, Chiesa, Sindacati, organizzazioni industriali e di categoria. Ovvero l’intero mondo della rappresentanza. Se tentassimo di analizzare il risultato a fini interni senza mettere in campo una profonda riflessione sul ruolo dei partiti, il sistema della relazioni e della rappresentanza non coglieremmo la questione principale che questo voto ci consegna. Una crisi della rappresentanza per come l’abbiamo conosciuta che investe tutti noi e che non consente analisi semplicistiche volte solo ad un rimescolamento dei volti della rappresentanza stessa. La crisi economica, l’Europa rigorista e che non da’ speranza ma toglie futuro, la percezione che non ancora si e’ innovato abbastanza sono parti che accentuano un problema più profondo e che travolge il sistema delle istituzioni di questo Paese e non solo.

La Crisi economica era grave, pesante e rischiava di provocare una profonda frattura tra politica e società noi lo diciamo da tempo.

Ribadirlo e approfondire questo aspetto, serve per capire anche quali sono stati gli errori, se sono state adeguate le nostre risposte e soprattutto qual è la strada da intraprendere per il futuro.

La crisi è innanzi tutto europea, ed è a livello europeo che cresce un sentimento di rifiuto verso un’Europa che è percepita come l’Europa soltanto dell’austerità, dei tagli che vengono imposti, senza nessuna prospettiva per le persone colpite dalla perdita del lavoro e delle imprese che non riescono ad andare avanti.

Ci sono segnali inquietanti non solo in Italia: la svolta autoritaria di Horban in Ungheria, le manifestazioni di piazza oceaniche in Portogallo, la nascita di un movimento antieuro persino in Germania.

Questo sentimento antieuropeo montante è arrivato in modo fragoroso in ITALIA con queste elezioni. Per la prima volta dalla nascita della nostra Repubblica, c’è un blocco sociale potenziale antieuropeo. È un fatto epocale, senza precedenti nel nostro Paese, dove la DC aveva costruito il suo blocco di riferimento su alcune scelte sociali ed economiche, ma su un chiaro asse internazionale: scelta atlantica e aggancio all’Europa. Su questa opzione europea si era rimodellata la Seconda Repubblica, dove la nostra vittoria nel 1996 con l’Ulivo di Prodi nasce proprio su questa scelta.

Oggi nel nostro Paese per la prima volta c’è un sentimento molto ampio, non sappiamo se maggioritario, contro l’Europa, vista come sinonimo solo di sacrifici. Questo è o non è un problema per noi, che siamo percepiti come la forza europeista per eccellenza e su questo abbiamo costruito il nostro profilo come centrosinistra riformista?

Non siamo riusciti in questi anni e nemmeno in questa campagna elettorale a rendere concretamente percepibile l’idea di una nuova Europa, non solo tagli e sacrifici, ma anche opportunità, progetto per il futuro, per il lavoro e la crescita.

Questo non dipende solo da noi, perché ovviamente si scontra con la resistenza dei governi europei, ed in particolare di quello tedesco, ad un cambiamento nelle politiche di austerità.  Ma è stato ed è un fattore decisivo.

Fatto sta che questa situazione anche nel nostro Paese ha determinato una profonda e drammatica sofferenza sociale. Questa sofferenza ha colpito in modo pesante anche una larga parte della base potenziale o tradizionale del nostro consenso elettorale.

Una parte importante anche del nostro elettorato ha percepito accanto a questa sofferenza, un’idea di inutilità della politica, che non è riuscita in questi anni a fare le riforme, ad affrontare le questioni irrisolte del nostro Paese.

Come ha detto Bersani l’errore fondamentale sta qui, nel non aver colto fino in fondo la drammaticità e l’impellenza di dare un segnale di svolta, cambiamento, che questa volta non si sarebbero ripetuti gli errori del passato.

Penso tuttavia che dobbiamo andare più a fondo e leggere questi risultati come il prodotto di tendenze negative che si sono sviluppate nel tempo.

Dobbiamo chiederci se c’è stato un limite nel progetto del Pd, per come è stato costruito finora. La storia della rimonta di Berlusconi è una leggenda, un po’ consolatoria. Berlusconi, lo ha evidenziato anche Bersani, non ha rimontato, ha attenuato l’effetto di una disfatta. Se si leggono i dati, tuttavia,  noi abbiamo avuto in 5 anni un tracollo del consenso verso il Pdl e verso il centrodestra. Parliamo di 7 milioni di voti, oltre 17 punti percentuali.

A fronte di questa discesa verticale di consensi, noi abbiamo un progressivo logoramento di consensi del Pd. Passiamo dal 31% che era il dato dell’Ulivo alle europee  2004, al 33,4% di Veltroni al 26,1 delle europee 2009 al 25,4 di queste elezioni politiche. E’ come se al declino e poi al crollo del berlusconismo sia andato di pari passo una nostra crisi di consenso.

La verità è che in questi anni noi siamo stati lo specchio riflesso del berlusconismo. Abbiamo oscillato tra l’antiberlusconismo sterile ed inconcludente e, come dice Diamanti, l’inseguimento dei modelli di comunicazione, costruzione dell’immagine, insediamento del berlusconismo. Persino in una campagna elettorale politica come questa i veri attori in campo sono stati pochi, troppo pochi, ne’ tanto meno si può essere in campo solo quando si e’ candidati in prima persona.

Il Pd non ha saputo darsi in questi anni un suo chiaro profilo culturale e politico, che fosse condiviso e percepito come tale. E aggiungo non ha saputo darsi un suo modello di insediamento nella società. E questo limite è diventato dirompente con la Crisi e con il disagio economico, sociale e materiale che ne è derivato che ha colpito anche il nostro elettorato e che si e’ agganciata ad una insofferenza verso i modelli di rappresentanza del dopoguerra, insofferenza che già covava da tempo e che e’ esplosa in tutta la sua forza..

E dunque non dobbiamo ora commettere lo stesso errore con il movimento 5 stelle, il cui modello di insediamento va studiato. E’ un modello di insediamento che fa i conti con la crisi della democrazia rappresentativa, e con quella irreversibile dei partiti di massa ed inventa un nuovo modo di essere forza popolare, fondato sulla partecipazione diretta dei cittadini. Anche se poi questa sua modalità entra in contrasto – ed è questa una contraddizione su cui agire – con le modalità verticistiche con cui in realtà i suoi leader gestiscono il movimento.

Noi dobbiamo mettere in campo un nostro profilo e un nostro modello comunicativo e di insediamento, che non c’è stato. E questa lo abbiamo pagato con l’incapacità in campagna elettorale di saper ascoltare in tutta la sua drammaticità la domanda di cambiamento che veniva dalla società e di far arrivare il nostro messaggio.

L’altro aspetto su cui riflettere è a mio avviso la politica delle alleanze.

Rispetto all’ondata di sfiducia verso la politica e all’ondata di populismo che si stava abbattendo sul Paese in questa campagna elettorale, forse occorreva uno sforzo in più per allargare l’orizzonte delle alleanze sociali e politiche da mettere in campo.

Tuttavia, sono profondamente convinto che occorra allargare il perimetro delle alleanze, e del resto è ciò che abbiamo fatto qui in Abruzzo in tutti i principaliComuni dove abbiamo ottenuto risultati positivi, ma che non è stato possibile riproporre in queste elezioni politiche; risultati positivi che sono stati il frutto anche dello sforzo di mettere in campo un partito capace di aprirsi a molteplici esperienze civiche e associative non chiedendo loro un ritorno in termini di allargamento del partito, di subalternità di quelle esperienze all’organizzazione partitica abruzzese. E’ risultata essere una scelta vincente, che però non ha risolto i nostri limiti di insediamento.

Fatte queste premesse, passiamo ad analizzare il dato elettorale dell’Abruzzo, sensibilmente al di sotto delle attese.

Dico subito che la nostra analisi possa prescindere dal contesto nazionale.

Come si è visto nel Lazio, nel Molise ed in Lombardia, l’elettore sa distinguere e persino nello stesso giorno vota in un modo per le elezioni politiche e in un altro modo per le elezioni regionali. Diversità di voto che è il risultato anche di un diverso sistema elettorale, che nelle elezioni regionali consente di dispiegare tutto il potenziale dei candidati ed esaltare il nostro maggiore radicamento territoriale rispetto sia al Pdl e sia al movimento 5 stelle.

Né si può ridurre tutta la nostra discussione alla composizione delle liste. Non solo perché com’è noto i nostri candidati sono stati scelti con le primarie, tranne quelli scelti dalla Direzione nazionale, e che com’è noto siamo l’unica regione ad avere scelto i propri capilista indicando quelli più votati dalle primarie, con un diffuso riconoscimento di quel lavoro. Ma soprattutto perché qualsiasi studioso serio ci direbbe che, soprattutto in un sistema elettorale in cui c’è la lista bloccata e sulla scheda appare solo il simboli di partito, la percentuale di chi sceglie sulla base dei candidati locali è davvero poco determinante. Demopolis l’ha quantificata nel 9% dell’elettorato.

Dunque, anche sul dato abruzzese dobbiamo fare lo sforzo di cogliere tendenze più di fondo, tenendo conto che molto ha inciso la scelta di carattere nazionale che l’elettorato ha voluto compiere, ed il segnale di disagio e di protesta che il nostro elettorato ha voluto trasmettere a livello nazionale.

Partiamo dal Pdl. E’ assolutamente fuorviante parlare in Abruzzo di recupero del Pdl e addirittura di vittoria del Pdl in Abruzzo, aldilà del numero di senatori eletti.

In Abruzzo come in Italia noi abbiamo assistito ad una sostanziale tri-polarizzazione degli schieramenti, che per percentuali minime poteva favorire l’uno o l’altro.

Ma se vediamo quali sono state le tendenze elettorali, noi abbiamo assistito anche qui in Abruzzo ad un vero e proprio tracollo del Pdl. Il Pdl in Abruzzo perde 18 punti rispetto alle elezioni politiche 2008, 14 punti se consideriamo l’intero centrodestra (comprese le liste alleate), ossia circa 130 mila voti. Perde 20 punti rispetto alle elezioni europee del 2009, ossia quasi dimezza il suo consenso. Siamo quindi di fronte ad un vero e proprio smottamento del centrodestra nella nostra regione, che solo in parte è stato arginato dalla “ridiscesa in campo” di Berlusconi e dall’invio in tutte le case della lettera sulla restituzione dell’Imu.

L’altro dato significativo da cogliere in Abruzzo è la quasi scomparsa, la disintegrazione dell’Idv e della sinistra radicale. L’Idv nella nostra regione si era attestata su dati molto alti. 58 mila alle elezioni politiche del 2008, il 7%, un dato già notevole che era cresciuto alle elezioni regionali dello stesso anno fino a raddoppiarsi in termini percentuali, arrivando a toccare quota 100 mila voti alle Regionali 2008 e poco sotto alle Europee 2009 (parlo di voti assoluti). Ora Rivoluzione civile in queste elezioni ha preso 25.800 voti pari al 3,3%, quasi lo stesso risultato della Sinistra arcobaleno nelle precedenti elezioni politiche. L’elettorato Idv s è quindi volatilizzato, probabilmente quasi del tutto confluito nel consenso al Movimento 5 stelle.

Questo ci introduce all’altro aspetto, il più rilevante del dato abruzzese, l’affermazione del Movimento 5 stelle. Il M5S conquista 8,5 milioni di voti sul piano nazionale, pari al 25%. Secondo le prime rilevazioni sui flussi nazionali, questi voti provengono per il 30% dal centrodestra, il 25% dal centrosinistra, per il 35% dall’astensione o da liste minori. In Abruzzo il M5S raggiunge una delle percentuali più alte in Italia, al 29,87%. Questo si spiega in parte con un fenomeno che è accaduto un po’ in tutto i centro sud. Mentre nel centro nord, il Movimento 5 stelle ha prevalentemente conquistato consensi dal centrosinistra, nel centro sud ha conquistato consensi provenienti in maniera prevalente dal centro destra. Ma soprattutto credo si spieghi con la confluenza di gran parte dell’elettorato proveniente dall’Idv.

Sono riflessioni che dovremo approfondire anche con l’analisi dei flussi, che abbiamo commissionato per l’Abruzzo. Ma ad una prima impressione credo si possa dire che il M5S ha intercettato un voto in Abruzzo di contestazione della politica e di richiesta di radicale cambiamento.

E veniamo a noi.

Il senso del nostro risultato è racchiuso in questo paradosso. Siamo una delle regioni che ha perso di più in termini percentuali rispetto alle elezioni politiche del 2008, -11,2%, dopo le Marche (-14%), la Puglia, la Basilicata, l’Umbria che stanno sopra il 12%. Siamo una delle quattro regioni insieme con Piemonte, Lombardia, Veneto in termini percentuali a non perdere consensi rispetto alle elezioni europee, ma anzi ad avere una live crescita. L’unica nel centro sud.

Qual è la spiegazione di questo paradosso. E’ nella cesura del 14 luglio 2008 e poi delle vicende giudiziarie pescaresi che solo oggi stanno avendo una conclusione positiva per i nostri esponenti coinvolti.

E’ lì che si verifica una frattura con il nostro elettorato di opinione non con i fidelizzati.  Una frattura che abbiamo più volte analizzato.

Il Pd in Abruzzo passa dai 277 mila voti delle elezioni politiche ai 106 mila delle elezioni regionali, dal 33,5% al 19,6% (ovvero perdiamo 170 mila voti assoluti). Questo avviene nell’arco di 6 mesi. Il nostro consenso fugge in gran parte verso l’astensione, che colpisce tutti gli schieramenti ma penalizza noi con una differenza di circa 30 mila voti rispetto al centrodestra, ed in parte minore verso l’IDV che in quella fase riesce ad intercettare la domanda di cambiamento.

Che ci sia una vera e propria secessione del nostro elettorato di opinione è dimostrato dal fatto che le maggiori perdite di opinione si registrano nelle città  sopra i 15 mila abitanti., dove siamo quasi ovunque superati dall’IDV. Questa rottura non è stata sanata se non in parte, visto che le maggiori difficoltà le continuiamo a registrare nei comuni maggiori soprattutto nelle province di Teramo e Pescara. E  a questa rottura, in questi anni, abbiamo lavorato seguendo un percorso che prevedeva l’insediamento di tante amministrazioni comunali con logica orizzontale non verticale, dunque senza annessione da parte del PD di pezzi di società dentro il partito ma in alleanza con essa. E’ Stata una scelta. Una scelta che a mio avviso ci ha permesso di vincere diffusamente ma che non ha contribuito ad alimentare un voto di opinione a nostro favore.

Alle elezioni europee avviene un primo recupero. Nel frattempo c’era stato il commissariamento e l’elezione del nuovo gruppo dirigente. Passiamo dai 106 mila voti delle regionali ai 145 mila delle elezioni europee, pari al 22,3 – stessa percentuale alle elezioni provinciali.

Infine, arriviamo ai 175 mila voti di queste elezioni, pari al 22,6%. Un risultato di sostanziale tenuta. Che però va letto ed analizzato. Il recupero è concentrato in provincia di Chieti dove cresciamo del 2,9% e nell’aquilano. Infatti, in provincia dell’Aquila cresciamo di mezzo punto, ma nella sola città de L’Aquila cresciamo di 9 punti.

Nella provincia di Pescara , invece, perdiamo 1,5 punti e 1,3 in provincia di Teramo. In provincia di Pescara va un po’ meglio nei comuni sopra i 15 mila abitanti, dove complessivamente teniamo. Al contrario, nella provincia di Teramo va molto peggio nei centri maggiori. Tra Teramo, Giulianova e Roseto perdiamo mediamente 4 punti.

Dunque, un risultato con chiaroscuri che va letto ed analizzato.

Complessivamente, si può dire che abbiamo avuto una frattura tra il Pd e il suo elettorato che risale al 2008, che si consuma tra luglio e dicembre 2008. Una riapertura di credito che si manifesta nelle elezioni amministrative e che non si traduce, tenendo anche (ma non solo) conto dello scenario nazionale in un recupero apprezzabile del voto d’opinione. Nel frattempo si verifica anche in Abruzzo una crisi di consenso verticale del centrodestra ed una crescita di una domanda di cambiamento, che nelle elezioni regionali ed europee si indirizza verso l’Italia dei Valori. Con la crisi dell’Idv, questa domanda si indirizza in larga parte verso il Movimento 5 Stelle.

Questa domanda di cambiamento in partenza (2008) frutto delle vicende giudiziarie si sedimenta oggi per la particolare situazione di difficoltà economica e sociale drammatica che sta vivendo la nostra regione.

Non ci siamo soffermati a sufficienza a riflettere su cosa significa l’aumento esponenziale delle ore di cassa integrazione, della disoccupazione che colpisce oltre il 35% dei giovani, delle condizioni di precarietà di donne e giovani, della sofferenza del mondo delle imprese, che riguarda la nostra regione. Alla ri-meridionalizzazione delle tendenze economiche e sociali della nostra regione ha corrisposto in questi anni una ri-meridionalizzazione delle tendenze elettorali.

Dunque, sul perché non siamo riusciti in Abruzzo ad intercettare, se non in piccola parte, questa domanda di cambiamento, è il punto su cui dobbiamo interrogarci e concentrare la nostra iniziativa.

E nel momento in cui e’ messo in discussione il valore della rappresentanza, il ruolo dei partiti e della mediazione degli interessi, viene confermato che

1/ un partito che si struttura e si rinnova (coordinamenti di zona);

2/ un partito che riesce a fungere da mediatore di esigenze sociali (L’Aquila)

3/ un partito che riesce ad aprirsi in modo orizzontale;

ha modo di tenere anche in una situazione così complessa. (L’Aquila-Chieti)

Processo di rinnovamento che produce risultati dove a fianco ad una buona qualità delle nostre amministrazioni, abbiamo saputo ricostruire un tessuto di comunità – partito e aprirci alla società: L’Aquila (+9% sulle europee), Lanciano (+3,6), Vasto (+2,3).

Ma che in altre realtà non viene percepito dagli elettori.

Non è stato percepito perché il rinnovamento dei gruppi dirigenti richiede tempo e non in tutte le realtà è stato portato avanti.

Non è stato percepito perché in troppi aspetti i nostri comportamenti vengono percepiti non sufficientemente all’altezza di questa domanda di cambiamento.

Cambiamento nella responsabilità.

Dunque, credo che dal Pd Abruzzo debba venire un pieno sostegno agli 8 punti e alla proposta di governo di cambiamento avanzata da Bersani.

Per quanto ci riguarda, la sfida del cambiamento la dobbiamo giocare rispetto all’appuntamento per noi decisivo delle elezioni regionali.

Occorre andare avanti e accelerare nel rinnovamento dei gruppi dirigenti. (Zone, focus su le aree più problematiche).

Dobbiamo mettere in campo una proposta coraggiosa ed innovativa sulla riforma della politica e sulla riduzione dei suoi costi. Penso alla necessità di una radicale riorganizzazione riduzione del numero delle società di gestione nel campo dei servizi pubblici locali.

Occorre una legge elettorale regionale che eviti la frammentazione e l’ingovernabilità.

Dobbiamo inoltre coinvolgere gli elettori nella scelta del programma e del candidato Presidente. Penso a primarie apertissime, a doppio turno, con la piena possibilità per tutti gli elettori di partecipare alla scelta. E che per noi allo stato sono l’unica risposta alla domanda di partecipazione diretta e cambiamento che vengono dalla società.

Occorre inoltre una forte innovazione sul piano programmatico. Accennavo prima al tema spinoso delle società di gestione, dei consorzi industriali, dei tanti enti inutili su cui dobbiamo impegnarci ad una radicale semplificazione. Penso ad una forte innovazione sul tema della Macroregione adriatica e sulla necessità di pensare lo sviluppo della nostra regione in una dimensione più ampia, in primo logo europea, che richiede un patto federativo ed una progressiva condivisione delle politiche sanitarie, fiscali e dello sviluppo economico, dei servizi e della mobilità con le regioni a noi confinanti. Penso ad una profonda modernizzazione della macchina burocratica regionale, che valorizzi il merito e l’efficienza.

In conclusione, il cambiamento deve essere la nostra stella polare. Da declinare sul lato della riforma e dell’innovazione della politica, delle modalità di insediamento del nostro partito, e sul lato delle politiche per lo sviluppo e il lavoro, per dare risposta al disagio economico e sociale dilagante.

Su questo e sulle diverse ipotesi per declinare questo cambiamento dovrà concentrasi il nostro confronto, che dovrà andare di pari passo con il lavoro intenso che ci aspetta per vincere le prossime elezioni regionali. Un obiettivo alla nostra portata, su cui dovremo concentrare le nostre energie da subito.

 Silvio Paolucci – Segretario Regionale Partito Democratico d’Abruzzo

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